
Per un'alleanza delle religioni
La Bibbia tra Panikkar e la radice ebraica
Dagli abissi oscuri alla mirabile visione. Letture bibliche al crocevia: simbolo, poesia e vita (Marietti 2008) e Per un'alleanza delle religioni. La Bibbia tra Panikkar e la radice ebraica (Servitium 2010).
I titoli di entrambi i testi sono molto suggestivi, e coincidono con gli interessi del Centro a cui collabora da alcuni anni: la Comunità di Ricerca “Culture Religioni Diritti Nonviolenza”, ispirata al pensiero di Raimon Panikkar, che scrisse il prologo al suo primo libro. Raimon Panikkar non ha scritto molto della Bibbia, come mai ha scelto ricorrere a lui per proporne una sua rilettura attuale?
Mi sembra che alcune intuizioni panikkariane siano fondamentali dal punto di vista ermeneutico (e non solo). Cito almeno la visione cosmoteandrica e il colligite fragmenta (“Raccogliete i frammenti”), cui Panikkar ci invita continuamente. Un altro punto di riferimento cruciale per me è l’antologia The vedic experience, che è un libro assolutamente capitale. Così come è importante incontrare l’esperienza dell’uomo vedico, dobbiamo anche incontrare l’esperienza dell’uomo biblico. Panikkar ha anche scritto riflessioni intensissime sulla misteriosa figura di Melchisedec. Naturalmente poi c’è tutta la grande teologia sulla Cristofania-
Nel testo Tra Dio e il cosmo, Panikkar afferma che il Cristianesimo non è la religione del Libro, è la religione della Parola”Come commenta questa visione?
In effetti secondo Panikkar è diverso il ruolo delle Scritture per ebrei e cristiani; se i primi sono il “popolo del Libro”,così non è per i secondi. Il cristianesimo – nella sua essenza di«fatto cristico e cosmoteandrico», piuttosto che nella sua espressione storica di religione istituzionale – è invece la«religione della Parola»; in questo senso, per i cristiani, le Scritture,pur rimanendo molto importanti, non sono però così essenziali. Inoltre per Panikkar la rivelazione è continua e non risiede soltanto nelle Scritture sacre: si dà anche nelle pietre, negli alberi, nel creato... Infine “rivelazione” è un concetto proprio solo di certe religioni (non, ad esempio, dei Veda, che parlerà di shruti ad es.). Panikkar ancora ci ricorda che il sacro per il fatto cristico è rappresentato più da una persona che da un libro, più da un’esperienza incontrata in un sacramento, che da una dottrina contenuta in un testo; inoltre i cristiani non hanno una legge propria, a differenza di ebrei e musulmani. Del resto: «Il comandamento dell’amore è una contraddizione. Il cristianesimo, la cristianìa direi (cioè l’esperienza cristica) non può essere una religione dei comandamenti». Mi sembra che questi riflessioni panikkariane siano importanti. Aggiungerei per altro che alcuni aspetti della tradizione ebraica, specie (ma non esclusivamente) mistica, potrebbero entrare in fecondo dialogo con le osservazioni panikkariane: gli ebrei sono anche il popolo della Miqra, che significa “lettura (a voce alta)” e non Scrittura (che è termine cristiano, almeno a partire da un certo momento); la Torah è viva, vivente, aperta, parlata (e nata nell’oralità), variamente vocalizzabile e non fissabile definitivamente e solamente per iscritto.
Nel Suo libro Lei parla di una lettura “olistica” della Bibbia, forse una ricerca di quell’autentico sensus plenior di cui parlavano i Santi Padri, che va oltre il livello letterario e scientifico. Ci può dire qualcosa su questo Suo progetto?
Come già accennavo, dobbiamo prendere sul serio il colligite fragmenta panikkariano, e entrare anche nel “conflitto delle interpretazioni” (Ricoeur), abitarlo, magari trascenderlo. In qualunque caso i metodi di lettura non possono più ragionare solo “per scuole”, separatamente. Detto questo, credo che nell’ermeneutica biblica dobbiamo onorare due movimenti apparentemente dialettici, ma che possono essere tenuti insieme come polarità in tensione creativa: una re-semitizzazione del testo biblico (nella tradizione cristiana abbiamo perso troppo presto l’ebraico!) e una de-semitizzazione (che non significa certo, anzi!, solo ellenizzazione). De-semitizzare significa anche entrare in risonanza con una lettura advaitica della Bibbia, facendosi fecondare dalla visione aduale di molto Oriente. Dobbiamo emanciparci, senza rinnegarla violentemente, da una metafisica sostanzialista greca etc. Così posso fare esperienza di un triplice livello (in generale) del testo biblico: uno letterale-letterario (che comprende anche un aspetto storico-critico); uno simbolico-interiore e uno mistico. Anche l’incontro con la qabbalah mi sembra fecondo (sempre nell’ambito della re-semitizzazione). La pluralità costitutiva del testo biblico, che sia la tradizione cristiana che quella ebraica (con maggior enfasi) hanno sempre riconosciuto, può essere incontrata in modo forse più maturo.
La lettura della Bibbia “tri-unitaria” o meglio “trinitaria”, da Lei proposta secondo l’intuizione cosmoteandrica di Panikkar e la sua ermeneutica diatopica, potrà secondo Lei servire per ritornare a leggere la Bibbia in un modo nuovo ed aiutare questa Alleanza tra le religioni che Lei cita ad iniziare dal titolo del Suo testo?
Penso di sì. Abbiamo bisogno anche di un movimento intraculturale (complementare di quello interculturale), che significa ritornare creativamente alle nostre radici, specie approfondendone l’aspetto mistico (troppo misconosciuto). In questo senso ritrovare l’intuizione cosmoteandrica nel testo biblico mi sembra fondamentale; è un modo di ridare al simbolo trinitario una sua radicalità: la Trinità è intradivina, economica, ma anche radicale, appunto. In questo senso la Trinità diventa anche un’esperienza vitale, che ci abbraccia tutti e nella quale entriamo costitutivamente. Ineludibile anche il recupero della mistica ebraica, come già accennavo. Lo sguardo interiore, simbolico e mistico ci fa comprendere che il Dio della Bibbia, YHWH soprattutto o anche Elohim per es., non è solo esteriore, un essere supremo, trascendente, ma è anche altrettanto immanente. Riscoprire il Dio interiore (senza solo immanentizzare) mi sembra essenziale per una certa ricerca spirituale oggi.
Un tema concreto su cui pone l’attenzione è il simbolo dell’Alleanza Cosmica di Melchisedec, un personaggio che appare in poche occasioni nella Bibbia (Genesi,14, 18-20, Salmo 110,4 e nel Nuovo Testamento, Ebrei, 5, 6.10 e 6, 20), e si ricollega alle ordinazioni sacerdotali cattoliche. Panikkar scrisse una “ Meditazione su Melchisedec” alla quale Lei fa ampio riferimento. Che significato può avere per noi, oggi, questo sconosciuto re di Salem, un pagano?
Moltissimo. Interpreto Melchisedec in un duplice senso. Egli è il rappresentante del Testamento cosmico, cioè quello delle religioni non-abramiche, secondo il punto di vista giudaico-cristiano-islamico. Ireneo parla di questo Testamento e Jean Danielou ha dedicato un libretto prezioso ai “santi pagani” dell’AT. Ma Melchisedec è anche mistero, principio cristico. Riflessioni in tal senso in Panikkar e, forse ancor più radicalmente, in Simone Weil (che parla di M. come incarnazione del Verbo anteriore a Cristo etc.). La tradizione ebraica invece riduce troppo la figura di M., anche per “difendersi”, per così dire, dall’ampliamento che M. riceve nella Lettera agli Ebrei cristiana. Forse però l’ottica pseudo-paolina è ancora troppo, secondo me, virata verso un aspetto apologetico e di compimento. In questo senso nella Lettera agli Ebrei si sottolinea l’affrancamento dal sacerdozio levitico ricollegando M., tramite il Salmo 110, alla monarchia davidica, ergo alla tribù-genealogia di Giuda-Iesse-Davide da cui discenderà Gesù stesso. Una tale ottica è ben comprensibile, ma oggi forse non basta più. Mi spiego meglio: l’interpretazione cristologica tradizionale mostra sì come Cristo non discenda dai leviti ma da Davide, cioè dalla tribù di Giuda (Iesse), tuttavia questo rimane pur sempre abramico e meno, per così dire, melchidesechiano. Panikkar lavora nel senso di riconnettere il Cristo a Melchisedec prima ancora che ad Abramo (e tralascia di fatto la riflessione sulla “genealogia davidica”). Nella mia interpretazione Melchisedec “si amplia” ulteriormente: egli è, nell’Antico Testamento, un’epifania cristica (e cosmoteandrica) del Testamento Cristico (a Alleanza Cristica), di cui tutte le religioni, per così dire sono un capitolo, un libro (senza certo che debbano chiamare “cristico” questo Testamento, ma, eventualmente, con altri nomi). L’argomento è denso e devo per forza semplificare.
Vi è un lungo capitolo nel Suo libro, nel quale Lei applica in modo concreto la lettura biblica che propone: Viaggi Cosmoteandrici nella Bibbia. Esercizio di lettura del Libro di Giona. Un’interpretazione indubbiamente originale e rara. Può dirci qualcosa in merito a questa significativa proposta di rilettura della Bibbia?
Sì, dobbiamo rincontrare la pluralità costitutiva del testo biblico (specie in ebraico), senza disperdere nulla delle letture precedenti. Yonah è chiamato da YHWH ad alzarsi (qum), ma l’imperativo significa qui anche: risvegliati, risorgi, vai verso di te. Vai verso le tue profondità interiori e di tutta la realtà. Creatore e creatura non sono uguali ma neppure separati. Tre delle quattro lettere che compongono in ebraico il nome di Giona (Y W H) coincidono con tre lettere del Tetragramma. YHWH è anche dentro Yonah e Yonah può divinizzarsi. Il libro racconta poi uno straordinario processo di trasmutazione interiore del profeta, ma anche una interrelazione costitutiva tra il divino l’umano e il cosmo (il pesce, il verme, il ricino etc.). Ancora una volta rifulge l’intuizione cosmoteandrica. Rincontrare il testo ebraico poi ci può far vedere che il mistero divino si esprime con molti nomi. Mistero uno e plurale. O forse né uno né due né tre. Ancora il mistero trinitario?
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Autore: Vacchelli Gianni
Editore: Servitium
Anno: 2010
Pagine: 160
EAN: 9788881663118
Presentazione Libro:
Il saggio si apre a nuovi orizzonti di lettura della Bibbia. Al centro questioni decisive per il nostro tempo quali la pace, il dialogo, l'interpretazione (di un testo sacro, ma anche della realtà stessa). Due movimenti, diversi e complementari, sono indispensabili: uno sguardo in profondità nella propria tradizione (ebraica, cristiana) e insieme un'apertura reale ad altre visioni del mondo (l'Oriente e non solo). In questa direzione i contributi dell'ermeneutica di Raimon Panikkar sono fondamentali: basti pensare al dialogo intrareligioso, all'intuizione cosmoteandrica, al superamento del «mito della storia». Aprirsi all'"altro" non significa rinnegare le proprie origini: il patrimonio della "radice ebraica" è essenziale e da approfondire. L'"albero biblico" non va sradicato, ma trapiantato con la parte migliore del suo luogo natio, in modo che possa attecchire al proprio terreno in un nuovo ambiente, con reciproco arricchimento. Il misterioso personaggio di Melchisedec, «re di Salem» e di pace, che benedice Abramo (Gn 14, 18-20), ci conduce a un'altra intuizione fondante del saggio: quella dell'Alleanza mistica delle religioni. La Bibbia sarebbe un colore di questo "arcobaleno cosmico". E così ogni religione, scritta o orale, senza mai dimenticare la tradizione secolare. L'approccio non è solo teorico: il libro presuppone una prassi e ad essa invita. E soprattutto vuole suggerire processi liberatori, nell'ambito umano, interiore, religioso.
Scheda Autore: Gianni Vacchelli
E'professore di letteratura italiana in un liceo classico milanese e insegna al Dipartimento di Italianistica (Scienze della Formazione) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Tiene corsi e conferenze, scrive libri per la scuola, racconti e saggi. La Bibbia e Dante, letti in una prospettiva simbolica che tenga insieme il livello interiore con quello letterario e mistico, sono i suoi principali oggetti di studio. La sua lettura, attenta al dialogo interculturale, è al crocevia delle tradizioni spirituali d’Oriente e d’Occidente.
Pubblicazioni: Dagli abissi oscuri alla mirabile visione Marietti,2008, Per un'alleanza delle religioni, La Bibbia tra Panikkar e la radice ebraica ,Servitium 2010. Arcobaleni Marietti, 2012