Centro Interculturale Raimon Panikkar
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Il Cerchio di Panikkar

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Francesco Comina è conosciuto come giornalista, collaboratore di alcuni giornali e riviste e scrittore . Ma è anche filosofo, come prima formazione universitaria; la sua tesi dottorale in filosofia che risale al 1992 discussa presso l'Universitá di Verona portava il titolo Antropologia e Religione in Raimundo Panikkar. Con Raimon Panikkar, Comina ha mantenuto una costante relazione di amicizia e discepolato che gli ha ispirato la sua ultima bellissima pubblicazione: Il cerchio di Panikkar .

  Francesco é più conosciuto come giornalista che come filosofo.  Mi sbaglio?

 Subito dopo la laurea in Lettere e Filosofia ho iniziato a lavorare come giornalista in un giornale di Bolzano, la mia città. Ho continuato a fare questo lavoro in diversi quotidiani del Trentino Alto Adige ma ho sempre cercato di alimentare l'interesse per la filosofia e la riflessione sui problemi prorompenti della nostra epoca. Non ho avuto l'occasione di entrare nei circuiti accademici. Oggi coordino un Centro per la Pace che si è distinto per aver richiamato intellettuali e pensatori da varie parti del mondo per riflettere e dibattere sulle grandi questioni etiche che stanno alla base di quella armonia di cui ha tanto insistito Raimon Panikkar. Come giornalista ho raccontato fatti, storie, ho scritto editoriali e reportage, come uomo che cerca di pensare ad alternative per questo mondo (pensatore) ho avuto la fortuna di intrattenere dialoghi con alcuni grandi protagonisti del pensiero contemporaneo. E su questa strada vorrei continuare a camminare.

 Il tuo interesse su Panikkar nasce tanti anni fa. Desidererei  che ci parlassi della tua Tesi Dottorale in Filosofia,  che a me sembra fondamentale. Per ché una tesi su Panikkar?
 Ho conosciuto Panikkar nel 1987 al termine di un convegno sul dialogo interreligioso alla Cittadella di Assisi. Tenne una conferenza sul tema “Un presente senza catture”. Fui letteralmente soggiogato dalla analisi e dalla novità del discorso interrerligioso. Fu come mettere la spina nella corrente. Iniziavo proprio in quell'anno l'università a Verona. Pensavo di laurearmi in letteratura italiana e avevo in mente di discutere una tesi su Goethe e sulle influenze del grande poeta tedesco nella poesia italiana contemporanea. Ma quando ho cominciato ad entrare più profondamente nel pensiero di Panikkar, soprattutto attraverso l'amicizia e il contatto personale, ho deciso di proporre al professore di filosofia della religione una tesi sul pensiero antropologico e religioso di Raimon Panikkar. Il professore si chiamava Ubaldo Pellegrino, ed era un sacerdote molto aperto e molto coinvolto dal pensiero di Panikkar. Mi incoraggiò a scrivere la tesi e così tentai di rileggere le grandi visioni di Panikkar. Oltre all'        amico Achille Rossi, che mi ha fatto da consulente e da lettore avevo cercato anche ispirazione in Padre Ernesto Balducci, che fu un estimatore di Panikkar anche se con un approccio diverso, più occidentale. Padre Balducci aveva appena pubblicato con la sua casa editrice, Edizioni Cultura della Pace, il libro di Panikkar, La torre di Babele. Pluralismo a Armonia.

 Panikkar è stato filosofo e teologo, uomo di scienza e mistico, tanto di occidente come di oriente; amico della semplicità, ma nemico del semplicismo che uniforma e deforma la realtà che é poliedrica. Che cosa pensi di questo?
 Negli ultimi anni Panikkar era molto preoccupato dell'uniformismo culturale che stava dilagando attraverso il dominio della scienza e della tecnica (occidentali). In una delle ultime interviste che gli ho fatto, ho notato un senso di pessimismo nelle sue parole. Vedeva un enorme pericolo per la “sua” India, minacciata dalla megamacchina tecnocratica e in generale per le millenarie culture del pianeta che sono vissute sempre in armonia con tutta la realtà. Nell'intervista apparsa nel libro Il monaco che amava il jazz (il Margine 2006), Panikkar dice: “Il complesso tecnocratico oggi ha invaso il resto del mondo con molta più efficacia e incidenza rispetto all'impero politico o religioso. Ci sono più inglesi oggi in India rispetto a quelli che c'erano durante l'impero britannico, includendo l'esercito. Questa invasione la si ammette pacificamente come si ammetteva cento anni fa quando gli imperi europei dominavano il mondo. Ma qui scaturisce un problema: quello della consapevolezza, della coscientizzazione. Bi      sogna rendersi conto che questo sistema non ha futuro. E per questo noi dobbiamo creare le condizioni perché si formino altre realtà, che saranno frutto dello spirito, della creatività e non una cosa pre-programmata che è la stessa forma di pensiero del colonialismo tecnocratico. E qui entra in ballo tutto il discorso della democrazia... Qui sta la connessione fra l'ideologia paneconomica moderna e la democrazia. Oggi dobbiamo capire fino a che punto siamo schiavi della tecnocrazia o della megamacchina. Noi siamo tranquilli fin che i computer funzionano, i reattori termonucleari vanno, le autostrade sono libere. Così perdiamo la libertà, la spontaneità. E allora mi chiedo: ma cos'è l'uomo, una piccola parte di una grande macchina o un essere vivente a se stante, un punto di contatto fra il cielo e la terra?”.  


 In una frase che ispira il titolo della tua opera, dici che Raimon Panikkar "non era una linea, era un cerchio". Lui diceva spesso che la sua vita era la ricerca del "ritmo" dell'essere, come ha poi intitolato il suo libro The Rhythm Of Being; sapeva molto bene che la vita è soprattutto relazione di tutto con tutto, una relazionalitá che è circolare...

Credo che Panikkar sia il filosofo che più di ogni altro abbia posto il tema della relazione come fondamento non solo della comunità degli uomini, ma anche come elemento vitale per la comunione con tutta la realtà. Da questo punto di vista Panikkar supera il pensiero di Lévinas, ad esempio, o quello degli altri filosofi dell'alterità, che ci hanno dato un importantissimo riferimento etico nella barbarie della distruttività e della violenza (il “principio responsabilità” di Jonas, ad esempio, davanti alla Shoà, oppure il mito del sacrificio in René Girard).  Oggi la solitudine del cittadino globale non è solo un problema sociale, ma è anche un dramma ecosofico. Viviamo come automi in un mondo che non ci appartiene. Ecco perché abbiamo reso possibile il dissesto ecologico, ecco perché viviamo l'agonia della biosfera. Riscoprire la relazione con il tutto (e non solo fra le persone) è oggi l'unica ancora di salvezza alla minaccia della morte totale del pianeta. Giustamente uno psicanalista e filosofo italiano, Luigi Zoja, ha posto il problema della morte del prossimo come conseguenza della morte di Dio: “Dopo la morte di Dio, la morte del prossimo è la scomparsa della seconda relazione fondamentale dell'uomo. L'uomo cade in una fondamentale solitudine. È un orfano senza precedenti nella storia. Lo è in senso verticale - è morto il suo Genitore Celeste - ma anche in senso orizzontale: è morto chi gli stava vicino. È orfano dovunque volti lo sguardo”.

 Intitoli un capitolo del tuo libro "Il disarmo della ragione". Perché è necessario "disarmare la ragione?"

  Il discorso di Panikkar sulla “ragione armata” è di una enorme rivelazione. Sto cercando, con tutte le mie forze, di farlo diventare un grande tema del movimento per la pace. Se non riusciremo a disarmare la nostra ragione armata, noi non riusciremo mai a costruire una civiltà della pace, perché avremo sempre da rivendicare qualcosa, da imporre un pensiero, una strategia, una logica. Disarmare la ragione, come ci ricorda Panikkar, non significa scadere nell'irrazionalità, ma attivare anche gli altri sensi, che in occidente si sono atrofizzati. Poi certamente il discorso sul disarmo della ragione è anche il presupposto per uscire dal pensiero unico e dal dominio tecnico-scientifico. La ragione è stata idolatrata dal pensiero moderno. Le bombe e i missili che oggi distruggono intere civiltà, sono il prodotto della frenesia razionale che non sa affidarsi a null'altro che alla potenza delle sue deduzioni logiche e dei suoi esperimenti empirici. Tutta quantità senza qualità.

 Un altro bel capitolo del tuo libro riguarda “L’orizzonte metapolitico”, in cui ti avvicini al dialogo interculturale e ai  concetti di  relatività radicale e di risveglio-illuminazione davanti allo sviluppo del mito della democrazia, all’ ingiustizia, all’ ecosofía e alla pace... …
  Anche sul piano della critica alla politica, le tesi di Panikkar sono profetiche. Oramai c'è un filone sempre più consistente di studi e di ricerche che affrontano il problema di una una rimessa in discussione di tanti miti che accompagnano la democrazia: il concetto di sviluppo, la rappresentanza, la giustizia, i diritti... La metanoia tanto auspicata da Panikkar impone una trasformazione di tutto un processo storico che oggi dimostra chiaramente i suoi limiti. La prefazione al mio libro è stata scritta da Serge Latouche, che considera Panikkar come uno dei precursori della decrescita (anche se Panikkar non utilizza mai questo termine). Il disarmo della ragione si collega fortemente anche al tema del disarmo culturale e alla decelerazione. Ivan Illich fa l'elogio della bicicletta, Alexander Langer ha lanciato il motto del Terzo Millennio: “Lentius, profundius, suavius”. Panikkar cita un aforisma di Lao Tse che dice: “Non possiamo stare tropo tempo sulle punte dei piedi”. Oggi è necessaria una rimessa in di        scussione dei miti che hanno contribuito a far crescere la democrazia occidentale. Alcuni sono superati e anzi, stanno creando problemi ai sistemi politici. La critica alla concezione puramente quantitativa della democrazia a scapito della qualità è un grande tema della deriva odierna, così come la spinta per una maggior partecipazione è ciò che molti giovani chiedono nelle piazze e nelle strade di tutto il mondo.  La metapolitica è un nuovo senso della politica: più alto, più aperto, più profondo. E' la ricerca di una casa per la saggezza.  

 Infine, il tuo capitolo "Fra le religioni", raccoglie l'impegno più importante di Panikkar di tutta la sua vita: il dialogo "inevitabile", "rischioso" e "purificante" delle religioni...

 Questo è un capitolo ampio e delicato del pensiero di Panikkar. In poche parole possiamo dire che un vero dialogo interreligioso è possibile nel momento in cui ci si libera dalle paure e dalle prigioni di una fede conculcata e ci si apre all'avventura della conoscenza. Intra-religioso è lo scambio interiore: “Chi ha paura di perdere la fede la perderà, chi non ha paura si ritroverà ancora più ricco”. Vivere la religione come una dimensione asfittica della relazione, significa escludere la possibilità di un dialogo. Un vero dialogo interreligioso presuppone vari passaggi, sia sul piano teorico, sia sul piano esistenziale. Il processo è delicato perché si ha a che fare con il sacro, che è la materia più profonda e più preziosa che ognuno porta con sé. L'ateismo è un momento di questo cammino, perché ci fa capire che ogni rappresentazione del mistero è una forma materiale di esprimere il divino che può fatalmente diventare idolatrica. Tutte le grandi tradizioni religiose dell'umanità ammoniscono l'uomo a non         voler definire Dio, né in parole, né in figure. L'ateismo è la negazione del Dio dell'ordine che è un momento della ricerca. La traversata è lunga, i rischi sono molti, le insidie sono dietro l'angolo. Però fa parte della vita. Le alternative sono due: stare fermi e guardinghi, controllando che nessuno venga a rimpiazzarsi in casa mia, oppure camminare andando incontro all'altro che viene portandomi in dono altri riti, altri culti, altri miti, altri orizzonti. Senza pensare di convertire gli altri, siamo pronti noi a convertirci all'altro. Senza pretese, senza pregiudizi, senza l'apparato dottrinale che riempie l'armatura della ragione speculativa.

 Come vedi il futuro del pensiero e l'opera panikkariana? Cosa pensi  che possiamo fare oggi noi, che abbiamo stretto rapporti di amicizia con Panikkar ed abbiamo approfondito la sua opera?

 Un giornalista italiano, Raffaele Luise, ha da poco pubblicato un libro che è un racconto dedicato a Panikkar dal titolo “Profeta del dopodomani”. Forse questa è l'espressione migliore per rispondere alla domanda. Panikkar è stato un anticipatore. Ha segnato la strada, dopodomani sarà lui a condurci alla salvezza...

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Intervista all'autore

A cura di: Victorino Pérez Prieto

Autore: Comina Francesco
Editore: Il Margine
Anno: 2011
Pagine: 176
EAN: 9788860890856

Presentazione Libro:

Francesco Comina ricostruisce con la passione e l'amore del discepolo le affascinanti visioni di Raimon Panikkar (1918-2010), uno dei pensatori più complessi e prolifici del nostro tempo. Pochi come lui hanno saputo viverer integralmente una doppia identità: orientale, indiana, induista e occidentale, spagnola, cattolica. Insegnava che ogni cultura e religione sono parte di un tutto, che un vero dialogo presuppone una conversione all'altro, che per costruire un apace stabile bisogna dapprima disarmare la ragione armata e che un a politica senza un orizzonte metapolitico non sanerà mai le storture del sistema violento. Uomo di dialogo e di parola, Panikkar è stato soprattutto un maestro del silenzio: "Beati coloro che raggiungono l'ignoranza infinita."

Il libro di Francesco Comina ha il merito di ricostruire le affascinanti intuizioni di Panikkar intrecciando i fili di un'amicizia che rende il racconto più immediato e a tratti perfino poetico. (Serge Latouche)

Scheda Autore: Francesco Comina

Francesco Comina, laureato in filosofia, è giornalista professionista. Redattore del quotidiano “L’Adige”, collabora con i periodici “Mosaico di pace”, “Segno nel mondo”, “Il Margine” e “Notiziario della Rete Radié Resch” dove cura la rubrica “Nonviolenza attiva”. È coordinatore del Centro per la pace del comune di Bolzano. Ha pubblicato: insieme con P. Casaldaliga, M. Barros e A. Zanotelli, Giubileo purificato (Bologna, 1999); con M. Lintner e C. Finka, Luis Lintner: Mystiker, Kämpfer, Märtyrer (Bolzano 2004, traduzione italiana Due mondi una vita (Bologna 2004); Non giuro a Hitler (Milano, 2000), su Josef Mayr-Nusser; Il sapore della libertà. In dialogo con Marcelo Barros (Molfetta, 2005); Qui la meta è partire. In dialogo con Arturo Paoli (Molfetta, 2005).

 

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